Goliarda Sapienza

L’università di Rebibbia

Goliarda Sapienza

Rizzoli 1983 Prima edizione
Brossura editoriale, in 8vo, pp. 163
Buone condizioni, segni d’uso alla copertina, carta brunita

14,00

Esaurito

COD: S17.297/920 Categorie: , ,

Descrizione

“Un incidente di percorso: «Ho rubato a una di queste pseudo signore per punirla. O per punirmi? ». Cosi Goliarda Sapienza, scrittrice, intellettuale di sinistra, borghese raffinata, e dungque coscienza inquieta che da anni si misura con il disagio dell’esistenza, finisce a Rebibbia: per una manciata di gioielli. Ma di questo nel libro non si parla. Giustamente. Conta saperlo per potersi identificare senza riserve con l’occhio a volte smarrito, a volte umido, a volte tagliente che guarda dal di dentro Rebibbia, un grande carcere femminile italiano. E, per una volta, non si tratta di una visita frettolosa, con la macchina che ti aspetta fuori per tornare a casa. Non si tratta di un’inchiesta commissionata da un partito, dalla Rai o da un settimanale. Si tratta di una condizione umana vissuta senza via di scampo. Goliarda Sapienza percorre il lungo, minuto itinerario che la porta dall’iniziale cella di isolamento alla compagnia di due borgatare, una ormai disfatta dal mal di carcere, perché non riesce più a vivere altrove, l’altra giovane e bella, afflitta dal mal di droga. Poi, per quei criteri di selezione di classe e di cultura che in ogni comunità si riaffacciano ineluttabilmente, passa alla compagnia delle “politiche”, asceticamente immerse nella lettura e nella scrittura, e delle ‘”signore”, donne spesso bellissime, eleganti, abbronzate dal sole del cortile: trafficanti di droga o borghesi che hanno compiuto delitti paradossali. Un itinerario dal magma iniziale di sporcizia, minestre puzzolenti, latrine sordide, fino a una dignità di vivere che solo una comunità femminile può ricostruire fra quattro mura. Celle impreziosite da pareti di carta stagnola e illustrazioni ritagliate, piccole cucine dove si rifà il cibo di “fuori'”, laboratori di cucito, angoli di studio e di lettura che somigliano al convento alle stanze domestiche. E cosi, dal rifiuto iniziale a penetrare nell’atmosfera del carcere, e a lasciarsene penetrare, l’autrice cede alle suggestioni di una vita societaria dove l’alternarsi di momenti sereni a crisi di sfiducia e degradazione e a esplosioni di rabbia rivelano quanta follia minacci quotidianamente il precario equilibrio di tutte e di ciascuna, negli spazi e nei tempi della reclusione forzata. Eppure, all’interno del carcere, si trova una dimensione di sé che si è smarrita nel mondo: essere qualcuno bene identificato, che tutti conoscono per quel che è. Impossibile, qui, l’anonimato metropolitano. E, di conseguenza, viene sconfitta la solitudine. Si impara a convivere con le altre, si imparano modi di esistere che nel mondo mai e poi mai si sarebbero esplorati, si impara a sfruttare ogni risorsa umana finora ignorata, Rebibbia, come ogni carcere, è appunto un’università, frequentata la quale si capisce quanto poco famiglia, scuola e società insegnino a ciascuno il mestiere di vivere e sopravvivere.”
Anna Del Bo Boffino

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